Sono passati 50 anni da quel giorno di ottobre, del 1973, che ci portò via un autentico talento. Era il 1973 quando, sul circuito di Watkins Glen, avvenne un incidente in cui perse la vita Francois Cevert.
E a distanza di tutti questi anni, noi ancora lo ricordiamo con grande malinconia, rispetto e un’emozione che oscilla fra il rammarico e la tristezza più acuta.
Quella di Francois è una carriera durata troppo poco, quella di Francois è una vita di un pilota che avrebbe meritato un palmarès più ricco di successi. Persona carismatica, pilota talentuoso, uomo affascinante con quei occhi azzurri, quell’azzurro cielo così magnetico e penetrante.
La storia di Francois nasce a Parigi, il 25 febbraio del 1944, quando ancora la Francia era sotto l’occupazione nazista: Francois ebbe il cognome della madre, Huguette, anche perchè il padre, Charles Goldenberg, gioielliere ebreo, decise di non dare il proprio cognome ai suoi figli per tutelarli dai rastrellamenti tedeschi. (I genitori erano migrati dalla Russia nel 1905)
Una volta conclusa la seconda guerra mondiale, Francois si approcciò ai motori, inizialmente concentrandosi sulle 2 ruote. Tutto questo grazie sia alla sorella, fidanzata con Jean Pierre-Beltoise (futuro pilota di F1) sia per le ricchezze economiche della sua famiglia.
François era decisamente più attratto dai motori rispetto agli studi e dopo continue lotte in famiglia, riuscì a comprare una moto per andare a scuola, tutto per cronometrare il tempo che impiegava da Neully, dove viveva, al Boulevard Arago, a Parigi. La scuola era il finish di quel percorso. La sua avventura sulle 2 ruote però durò pochissimo, visto che venne attratto dal magico mondo del motosport su 4 ruote.
La sua prima e unica gara sulle due ruote venne affrontata con una Norton 500. Nonostante la sua pochissima esperienza, riuscì ad ottenere un discreto sesto posto tanto che sempre Jean Pierre Beltoise, campione motociclista, idolo di quei tempi, si complimentò con lui per la sua performance dicendogli “…ma occhio non andare troppo forte”.
Fu solo alla fine degli anni ’60 che Cevert riuscì ad esordire nelle formule minori, imponendosi nella competizione Volante Shell, battendo un’altra giovane promessa dell’automobilismo francese, Patrick Depailler. Nel1968 esordì nella Formula 3 Francese al volante di un’Alpine-Renault.
Grazie a questi traguardi il pilota francese approdò, l’anno successivo in Formula 2, con il team Tecno, arrivando terzo a conclusione del campionato.
Il suo talento e le sue grandissime potenzialità non rimasero ignote a lungo: a rendersi conto di quanto fosse bravo fu proprio il tre volte campione del mondo Jackie Stewart, suo futuro compagno, che lo segnalò a Ken Tyrell. Jackie stringerà con Francois una meravigliosa amicizia.
I due piloti si conobbero in occasione del XVIII London Trophy di Formula 2, disputato il 25 maggio dello stesso anno, (corso nel circuito di Crystal Palace, presso Londra). Durante la competizione il pilota francese fu un avversario veramente ostico per lo scozzese e diede filo da torcere a Jackie, talmente tanto che Stewart rimase impressionato dal giovane Cévert.
“Stewart è stato il mio professore. Egli ha cercato di trasmettermi tutte le qualità che lui aveva, tutto quello che bisogna sapere per essere un buon pilota. Mi ha insegnato a correre. Mi ha insegnato l’arte di forgiare un carattere vincente.” (FRANÇOIS CEVERT)
L’ingresso in squadra di Francois avvenne di lì a poco, anche per via del ritiro, improvviso di Johnny Servoz Gavin, dopo il Gran Premio di Monaco. Ed ecco che avvenne il debutto di Cevert in Formula 1.
Il battesimo con la massima serie motoristica avvenne al Gran Premio d’Olanda, che, purtroppo, non riuscì a terminare, causa ritiro. Cevert però riuscì a riscattarsi a Monza dove conquistò i suoi primi punti iridati, giungendo sesto al traguardo.
Le sue prestazioni convinsero Tyrrell a promuoverlo per la stagione 1971.
L’inizio del suo cammino in F1 nel 1971 non fu così facile, visto i numerosi ritiri che lo attanagliarono. Nonostante questo incipit, non troppo promettente, Cevert non mollò la presa e cominciò a migliorare sempre di più, ottenendo 3 podi, fra i quali emerge il secondo posto agguantato sul circuito di casa de Le Castellet.
Al termine della stagione Stewart vinse il titolo piloti mentre la Tyrrell si laureò campione del mondo fra i costruttori.
Il nostro Francois riuscì a vincere la sua prima e unica vittoria in F1, ironia della sorte, proprio sul circuito che gli tolse tutto.
Proprio Al “Glen”(circuito veloce, insidioso e pericoloso) la sua prima vittoria, proprio al Glen la sua prima bandiera a scacchi: il talento che supera il fascino, la forza che lo eleva a possibile futuro campione. Cévert diviene così il secondo francese che riesce a vincere un Gran Premio nella storia della Formula 1: prima di lui, l’unico transalpino a riuscire nell’intento era stato Maurice Trintignant, vittorioso a Monaco nel 1955 e nel 1958.
“…a quanto pare non è poi così difficile vincere un Gran Premio quando sia ha una buona vettura” pensa Francois dopo aver vinto il suo primo gran premio.
Il 1972 è un anno molto difficile per Francois, la Tyrrell ha rinnovato i suoi piloti e si deve scontrare con un competitor incredibile, Emerson Fittipaldi su Lotus. L’incipit del mondiale è parecchio complicato per il nostro Cevert, tanti ritiri per lui e pochissimi punti raggiunti.
Il punto più alto del suo percorso avvenne al Gran Premio del Belgio il 4 giugno, quando Cévert giunge secondo dietro a Fittipaldi. Cevert tornerà di nuovo a punti, il mese dopo, il 2 luglio, in occasione del Gran Premio di Francia a Clermont-Ferrand, dove giunge quarto.
Il proseguimento della stagione continua ad essere un calvario per il francese e sarà solo nell’ultimo Gran Premio, disputatosi negli States, a Watkins Glen, che Cevert ottiene un altro podio, giungendo secondo dietro al suo compagno di squadra, Stewart, collezionando l’unica doppietta Tyrrell della stagione.
Cevert chiuderà il 1972 al sesto posto di un mondiale vinto da Fittipaldi su una Lotus davvero incredibile e dominante. (Lotus sarà seconda anche il mondiale costruttori).
Cévert è parecchio deluso dalla stagione del 1972 e avrà solo una piccola consolazione: un nobile e prestigioso secondo posto alla 24 Ore di Le Mans, in coppia con il neozelandese Howden Ganley su una Matra-Simca 670.
Anche il 1973 si rivela una stagione durissima, ma più positiva del 1972, per il nostro protagonista e si ripresenta il duello intenso fra Stewart e Fittipaldi. Cevert raccoglie 6 secondi posti e un terzo posto.
L’ultima gara va in scena sul circuito di Watkins Glen, teatro di belle prestazioni del pilota francese. François arriva negli USA con contrasti nel cuore: da una parte è reduce da un incidente con Jody Scheckter che lo ha lasciato claudicante, dall’altra Cevert arriva da un buon anno.
E Glen è la sua pista, la pista dove poteva esprimersi al meglio, la pista dove aveva raccolto le prestazioni migliori. Il titolo è già assegnato e nel paddock girano voci su un possibile ritiro di Jackie Stewart.
Solo lo scozzese e Ken Tyrrell sanno cosa succederà in futuro: Stewart vuole abbandonare la f1 lasciando a Francois il ruolo di prima guida della squadra. Oramai per Jackie e Ken il pilota francese è abbastanza maturo per gestire questa posizione tanto ambita.
Ma la f1 è una matrigna severa e imprevedibile, la f1 ti scombina i piani, la f1 rimescola le carte che hai sapientemente rimesso in ordine sino ad un secondo prima. Niente è certo e tutto è possibile.
Watkins Glen, 6 ottobre 1973
Watkins Glen geograficamente parlando è una piccolissima città americana, situata nello stato di New York. Vicino a questo piccolo centro c’è un lago, chiamato Seneca. Si arriva al Glen in autunno e il circuito è circondato da colori caldi ed accoglienti con l’ocra e il bordeaux degli aceri a dominare il panorama.
I colori morbidi e setosi appena descritti vibrano in quel fine settimana di ottobre, quei colori così attraenti accolgono il suono delle auto da corsa, che sfrecciano su uno dei più importanti circuiti automobilistici americani.
E’ il 6 ottobre e alla mattina sono state programmate le qualificazioni di quello che sarà l’ultimo Gran Premio della stagione.
Francois Cevert sale sulla sua Tyrell 006 blu, la monoposto viene messa in moto, Cevert indossa il suo casco così iconico e meraviglioso, dai toni così caratteristici: rosso, bianco, giallo e blu. Dalla visiera spiccano i due occhi azzurri di Francois, che bene o male catalizzano sempre l’attenzione durante i gran premi. Sono occhi così magnetici che parlano da soli, che hanno reso famoso il pilota francese, la cui fama è stata costruita anche dalla sua bellezza così sconvolgente.
Francois cala la visiera del suo casco e si dirige verso il circuito. Francois vuole vincere e lo vuole fare ottenendo la pole position. Francois è deciso, vuole essere il più veloce, nonostante non stia al massimo della forma fisica.
Sul circuito del Glen c’è un punto decisamente più ostico rispetto agli altri: è una esse e quì le barriere sono molto vicine, decisamente troppo vicine. Il segreto per fare un buon tempo è quello di farla abbastanza velocemente e nel modo giusto, ma bisogna affrontarla anche con estrema attenzione, il rischio di farsi male è veramente dietro l’angolo. Ed è proprio quì che la Tyrell numero 6 urta il guard rail sulla destra, andando a rimbalzare sull’altro lato della strada.
Francois muore sul colpo, il suo corpo è dilaniato dall’impatto e le cause dell’incidente rimangono ignote.
Anni dopo fu Niki Lauda, nel suo libro “Io e La Corsa”, a ritornare sull’accaduto raccontando che sulla pista, nel punto dove Francois fece l’incidente, c’era un insidioso avvallamento che, se preso con una traiettoria molto aggressiva, poteva scatenare un brutto incidente.
Alcuni pensarono che Cevert avesse avuto un malore, infatti furono ritrovate tracce di vomito nel casco, altri invece ritennero che la genesi del brutto incidente sarebbe nata per via di alcuni postumi di una ferita ad una caviglia che Francois aveva riportato due settimane prima dell’incidente. Per il compagno di squadra, Stewart, il pilota francese aveva affrontato quel tratto di circuito in terza marcia, con un numero di giri altissimo e con una vettura particolarmente instabile e nervosa.
I famigliari vennero avvertiti da Beltoise e Cevert, dopo il funerale, venne seporto nel Cimitero di Vaudelnay.
La morte di Francois sconvolse la f1, ma più di tutti Stewart, che, come detto poc’anzi, oltre ad essere il teammate del pilota francese, era uno dei suoi più cari amici.
François era un giovane francese che amava la vita e i suoi immensi piaceri. Francois sapeva circondarsi di passione: adorava lo sport, la cucina, ascoltava tantissima musica, quella musica che studiò con grande passione (15 anni di piano classico).
E non era da meno l’amore verso le ragazze, un mondo che Francois viveva con grandissima naturalezza e nonchalance. Con un fisico statuario e scolpito e quei due grandi occhi blu le conquiste erano all’ordine del giorno. Fra le ragazze a lui attribuite quelle che spiccavano di più su tutte Alexandra Stewart e Brigitte Bardot ma più delle altre, la donna che ha significato di più per lui, anche a livello di carriera di pilota fu Anne Van Malderen.
Dovremmo ringraziare anche Anne se François è diventato pilota: Nanou, come la chiamava François.
Fu proprio lei ad iscriverlo, prima del 1966, ad una scuola targata Bugatti sul circuito di Le Mans e fu sempre lei che convinse André de Cortanze, allora direttore di quella particolare scuola, che François avrebbe seguito i tre seminari concentrando tutto il programma in un’unica giornata. E a conferma di quella convinzione, Francois riuscì in tale impresa.
Una vita fatta di velocità, di attimi fugaci che hanno significato tutto, di sorrisi, di piaceri soddisfatti al meglio delle possibilità.
Una vita fatta di alti e bassi, di follie, di magie e di pazzie così spontanee che fanno strabuzzare gli occhi.
Una vita fatta di amici, sempre fedeli con lui, un’esistenza caratterizzata da un grandissimo impegno e da un’adrenalina, così potente, di cui ancora adesso ne vediamo gli effetti.
Una vita a 330 km/h in giro per il mondo, con quei occhi azzurri cielo troppo perfetti per rimanere sulla terra.
Un’anima spezzata troppo presto, un pilota che poteva e doveva dire di più ma che, nonostante le poche vittorie, è rimasto impresso nei cuori delle persone.
Francois era tutto questo, forse era anche di più, ma un semplice articolo non può raccontare tutto, un semplice racconto non può descrivere alla perfezione la storia straordinaria di un atleta così importante e significativo.
Io ci provato e spero che Francois sia contento di questo mio piccolo ritratto. Non ti ho conosciuto pazzo pilota francese, ma scrivendo questo racconto è come se fossi diventata per pochi minuti tua amica.
Per oggi è tutto ma chissà, in futuro, potrei tornare a parlare di te!
Ciao Francois, a presto!